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Il nostro precedessore
![]() Nel 1891, per sua stessa dichiarazione, l’enciclica di Leone XIII Rerum novarum gli apre "una prima finestra nel mondo". Da quel momento trascura i settori artistico-letterari sui quali si è fino allora prevalentemente soffermato per orientarsi verso gli studi e gli impegni sociali e politici. A Roma si sente attratto dalle attività sociali cattoliche, a Caltagirone, dove torna definitivamente nel 1898, fonda un comitato diocesano delle associazioni di operai, di agricoltori e di studenti, una cassa rurale e una società di mutuo soccorso per artigiani, dando ad essi voce e risonanza con il giornale La Voce di Costantino, da lui fondato, diretto e in gran parte redatto. Nell’impegno quotidiano e alle prese con i problemi amministrativi reali, il giovane sacerdote abbandona progressivamente l’originaria impostazione intransigente per orientarsi verso quello che egli stesso definisce "popolarismo". Che cosa sia effettivamente questo suo "popolarismo" lo proclama egli stesso in un discorso che tiene il 29 dicembre 1905 a Caltagirone, dove da pochi mesi è prosindaco (sindaco non lo sarà mai perché lo impedisce la sua veste talare). In quel discorso, da lui stesso considerato come il migliore di quelli da lui fatti, Sturzo propone un orientamento sociale di cui il popolo sia il protagonista, non inceppato dalle remore imposte dal centralismo statale e illuminato dai contenuti evangelici. È un programma esplicitamente proclamato come democratico cristiano, non solo per l’indicazione che riceve dalla Rerum novarum di Leone XIII, ma anche per la frequentazione di Romolo Murri, assai intensa dal 1898 al 1904, quando il rapporto comincia a deteriorarsi per la vis polemica del sacerdote marchigiano e soprattutto per la sua incapacità di capire come la tradizione democratica laicista si proponga come alternativa a quella cristiana. Nel 1906 la censura diventa marcata: tuttavia un punto in comune significativo resta in comune tra i due, ed è quello del "partito". Sturzo è infatti convinto che la formazione di un "partito cattolico" sia lo sbocco naturale del movimento cattolico. Il partito che ha in mente e che cerca di realizzare non appena se ne presenta l’occasione è infatti una sorta di proiezione nella sfera del temporale del movimento cattolico nella sua evoluzione: come tale, questo partito è anche legato, per quanto indirettamente, alla storia recente della Chiesa in Italia. Come il movimento cattolico è la proiezione del "popolo di Dio" nella sfera sociale, così il partito è la proiezione dello stesso popolo nella sfera politica. In questo modo il "popolo santo" della Chiesa diventa "popolo civile", sostegno della società per idealità, vita morale, impegno, operosità. È evidente che la partecipazione di questo popolo alla vita della società civile è connessa strettamente alla formazione religiosa che ha ricevuto: formazione religiosa e formazione civile, allo stesso modo che partecipazione alla vita ecclesiale e partecipazione alla vita civile traggono origine dalla medesima fonte, nei termini di una libertà che è tale perché si sostanzia di responsabilità.
Alcide De Gasperi
Divenuto segretario del partito (1923), lo guidò dall’opposizione contribuendo in modo decisivo alla sua "laicizzazione": il discorso tenuto da De Gasperi all’ultimo Congresso del PPI è considerato il "canto del cigno" del cattolicesimo impegnato in politica, in obbedienza all’orientamento espresso da Pio XI sul dovere morale dei cattolici di rimanere estranei alla militanza politica. In quell’occasione sostenne con forza che "prima dello Stato esistono i diritti naturali della persona, della famiglia e della società"
La sua era un’idea politica molto esplicita: cercare nella storia della nazione una continuità e confermare l’alleanza con tutti quei partiti che affondavano le loro radici nella libertà, ben sapendo che i cattolici non erano gli unici detentori di quella cultura della libertà, tolleranza e rispetto delle idee, che sono alla base di un sistema che vuole essere il più vicino alle regole di una democrazia. La stessa visione di democrazia portò De Gasperi, d’intesa con le democrazie occidentali, ad avviare il cammino verso l’unità politica dell’Europa. Un’ultima annotazione riguarda il profondo senso di umanità ed equilibrio interiore del grande statista il quale amava ripetere: "non parlatemi dell’intelligenza delle persone, ditemi del loro carattere". R.L.
Quando, alla fine della seconda guerra mondiale, Alcide De Gasperi ricostruisce il partito democratico-cristiano, non ha nessuna remora a riprendere il nome che le aveva attribuito don Romolo Murri nel 1900.
La posizione culturale di entrambi può essere più esattamente riconducibile al filone ottocentesco del cattolicesimo liberale, che teneva rigorosamente separati l’ambito religioso e quello politico, cioè li guardava più nell’ottica della separazione che in quella della distinzione. Quindi, in entrambi, appare comunque assente ogni desiderio di ricostruzione della società nella prospettiva della regalità anche sociale del Signore Gesù Cristo.
l'impressione proprio che De Gasperi fosse tanto un uomo del dialogo da incarnare quello che un laico Guido Calogero dichiarava essere alla base del dialogo politico "mettere alla propria libertà il limite che permetta agli altri di avere la stessa libertà". Ma quello che risulta ancor più chiaro dal libro è che, anche sul piano religioso e su quello dell'amore familiare De Gasperi, era un uomo del dialogo. Scriveva alla sua futura moglie una frase che ancora ci appare straordinaria e lo era in modo incredibile nel 1922: "Ti voglio libera compagna, amica di pari iniziativa e indipendenza e nulla mi ripugna che il farti da maestro e di frugare nella tua coscienza"! Ma ancora più singolare è come vivesse la sua fede religiosa proprio legata ad una profonda necessità di dialogo. Non solo il suo dialogo con Cristo appare continuo e determinante nei momenti lieti e nei momenti tristi, ma invita la moglie, le figlie a vivere insieme con lui il rapporto con Cristo, come un dialogo.
il problema più profondo è considerare che noi dobbiamo vivere sostanzialmente dei rapporti, e che l'altro, sia sul piano religioso e su quello familiare che su quello politico, quell'altro che oggi sembra a molti circoscritto e subordinato al proprio sè, è la cosa più importante. Per questo, di un uomo che è stato decisivo nella storia, non solo del nostro paese.
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